











Da poco più di un decennio, Danilo Pavone ci mostra immagini di corpi di uomini e donne divisi con simmetrie e forme disfatte, come se il nostro sguardo li frazionasse dentro a una logica che volutamente ancora ha a che vedere con l”Era del Vuoto” di Lipoveski. Sono immagini molto belle, che indagano il Canone greco in distruzione volontaria. In Broken Portraits i tempi sono definitivamente altri. L’Uomo-impresa creato dal neoliberalismo economico non soffre più la frustrazione nevrotica dell'eccesso di sollecitazioni, al contrario, vive in un universo di isolamento dei generi e di fedeltà al simbolismo generato dalle istituzioni. L'uomo-impresa obbliga se stesso, e questa è la sua distorta libertà, ad auto-crearsi, a modellare corpo e anima dentro dei quadri ideologici, forniti dallo schieramento morale e formale da lui scelto per definire la sua indispensabile autostima nei tre campi eletti: lo sport, la sessualità e il lavoro. Per raggiungere lo standard richiesto l’uomo-impresa deve definirsi e misurarsi in gradi di velocità, qualità della performance, intensità degli orgasmi e superamento degli obiettivi nel lavoro, evolvendo in un continuo miglioramento attraverso la creazione di nuovi livelli da superare. Si tratta, secondo gli psichiatri, di un soggetto dalle esigenze estremamente malleabili e mutabili, un immenso collage di frammenti che si vanno accumulando in nuove esperienze e nuove ascese. La norma sociale che da sempre si basa su una media equilibrata, adesso richiede la massima performance. Se guardiamo questi corpi o queste significative fratture di corpi di Danilo Pavone, dove la bellezza e la forma si fondono in un eccesso di perfezione, ne interpretiamo l'effetto dell' autostima e dell'elevazione formale che illustra questo nuovo ideale del binomio uomo-impresa. Ma la delusione, che trasfigura da un decennio sui corpi raffigurati nell'opera dell'artista, in questa serie viene sostituita da una forma di depressione – depressione condivisa da chi guarda e dal soggetto raffigurato. Il tema è ancora l'angoscia dell'uomo, condizione naturale del suo essere, ma privata della consolazione di un possibile ritorno alla natura che ci offriva l'Era del Piacere con i suoi canoni di bellezza. Questi corpi sono più forma che natura, sono una scelta, una razionalizzazione del desiderio, imposta dalla società della concorrenza volta allo sviluppo della solitudine dei suoi efficaci funzionari, dedicati a superare se stessi e a offrirsi nel mercato quotidiano come superuomini, come progetto-identità. Questi uomini e donne nascondono il viso simbolo di identità perché l’individuo, dell'era neoliberista, è riconoscibile esclusivamente dal raggiungimento costante della massima performance privo della quale l’individuo perde di unità e di senso. Il significato della vita si realizza nel pragmatismo d'azione, composto di energia, calcolo, ambizione e responsabilità personale in un universo di rischio sul modello dell’impresa economica; si rivela nella paura sociale che le nuove legislazioni canalizzano, (nella diminuzione dei diritti del lavoratore, nella precarietà del lavoro, nell’indebolimento del potere di acquisto...) obbligando a costanti aggiornamenti accademici e auto-valorizzazioni in comunicazione e persuasione, questo significato si raggiunge soprattutto da soli, perché la dimensione collettiva è finita e tutto il peso della competizione viene sostenuta dal singolo soggetto. Se l'autostima da all’individuo la potenziale opportunità di dominio sul proprio mondo, il minimo cedimento di questo lo porta alla depressione o anche al suicidio, elementi tragicamente molto attuali legati al mondo del lavoro. E’ questo mondo che le dure e pregiate immagini di Danilo Pavone, ci offrono. Il mondo dove tutto è pragmatismo ed efficacia, dove tutto è negoziabile, dove si afferma una relazione perversa con quello che è l'obiettivo, poiché tutte le barriere morali, i pudori e i limiti non esistono, dove l'identità è un oggetto di consumo e le caratteristiche dell'individuo vittorioso e quello sofferente, sono le due facce dello stesso soggetto. Maria do Carmo Serén